Quella che si conclude oggi venerdì 27 settembre è stata la settimana dedicata al Climate Strike, lo sciopero globale in difesa dell’ambiente. I manifestanti che sono scesi in piazza in tutto il mondo con slogan, cartelli e striscioni hanno ribadito quel che chiedono da più di un anno, e cioè che i governi nazionali e le organizzazioni internazionali mettano il riscaldamento globale al primo posto nella loro agenda, attuando le misure necessarie a ridurne l’impatto sulla popolazione e sugli ecosistemi.
Contemporaneamente in questi giorni si è svolto a New York il vertice ONU sul clima con discorsi da parte di tutti i big, da Macron alla Merkel e della giovane attivista Greta Thunberg che ha nuovamente accusato i paesi industrializzati di immobilismo.
L’elenco delle azioni da intraprendere per evitare il disastro è lungo, ma riconducibile a uno degli slogan più ricorrenti, presente anche nel manifesto di queste giornate: “porre fine all’era dei combustibili fossili”, i principali responsabili dell’immissione di CO2 in atmosfera e del conseguente effetto serra.
Secondo il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, entro 11 anni dovremmo ridurre le emissioni di anidride carbonica del 50%. Dentro di noi sappiamo bene che purtroppo non riusciremo a raggiungere questo obiettivo per una serie di ragioni, legate in primo luogo alla politica e all’incapacità di cambiare il nostro stile di vita. E costruire una società senza emissioni di anidride carbonica entro i prossimi 30 anni richiederebbe una mobilitazione a livello mondiale paragonabile a quella messa in campo nella Seconda Guerra Mondiale, che ancora non si vede all’orizzonte.
Gli ambientalisti se la prendono con il capitalismo, le compagnie petrolifere e i governi. Ciò che dobbiamo ammettere è la consapevolezza che chi opera nel nostro settore, quello delle costruzioni e degli impianti, è direttamente responsabile del riscaldamento globale. Gli edifici sono infatti la più grande singola fonte di anidride carbonica e quindi il principale colpevole dell’effetto serra. Il primo grido allarme sull’inquinamento risale agli anni 60, quindi possiamo dire che due generazioni hanno giocato con la protezione dell’ambiente, il risparmio energetico e idrico e la sostenibilità, facendo troppo poco per scongiurare l’era dell’estinzione.
In attesa che la politica assuma provvedimenti finalmente efficaci, è quindi doveroso chiedersi quale può essere il contributo alla riduzione delle emissioni che possiamo dare noi impiantisti. E quando diciamo “noi” intendiamo tutta la filiera: committenti, progettisti, installatori, manutentori, industria.
Di risparmio energetico e sostenibilità ambientale si parla ormai da almeno 20 anni. E qualcosa è stato fatto, sia dal punto di vista legislativo e normativo, sia attraverso la diffusione dei protocolli di sostenibilità. I dati relativi al continuo aumento delle emissioni ci dimostrano, purtroppo, che tutto ciò non è stato sufficiente a risolvere il problema.
D’ora in poi in tutti i nostri rapporti professionali la regola aurea dovrebbe essere una sola: mettere sul serio al primo posto l’efficienza energetica e l’impatto ambientale nei criteri di scelta delle soluzioni impiantistiche. Qualcuno obietterà che si tratta di un’utopia. Tuttavia, se ci pensiamo bene, tutti possiamo iniziare a fare qualcosa di concreto. Per quale motivo i nuovi edifici per uffici continuano ad avere grandi superfici vetrate? E perché non ci sono limiti alle potenze elettriche delle centrali frigorifere? È proprio necessario mantenere negli uffici una temperatura di 24 °C in estate? Nella scelta di filtri e ventilatori consideriamo il costo del ciclo di vita?
È vero che la resistenza dei nostri clienti può affondare le migliori proposte ma non ci rende meno responsabili. Chi si occupa di impianti, e quindi di energia, dovrebbe rappresentare il punto di riferimento della comunità delle costruzioni. Le scelte di committenti, architetti e imprese si basano sui nostri consigli. Un bravo impiantista si distingue non solo per le capacità tecniche ma anche per quelle commerciali, ovvero deve essere convincente nel vendere soluzioni ad alta efficienza .
Dobbiamo ammetterlo: negli ultimi 50 anni abbiamo avuto il potere di ridurre l’impatto ambientale degli impianti, ma non siamo stati in grado di farlo e il risultato del nostro fallimento è sotto i nostri occhi. È quindi giusto che studenti e ambientalisti scendano in piazza a protestare.
Ora i veri “attivisti” dobbiamo diventare noi “impiantisti”. Ognuno può e deve dare un contributo per cambiare la rotta. Dieci anni fa SagiCofim lanciò una campagna di comunicazione chiamata “Think green” per promuovere le soluzioni a basso impatto ambientale. Già allora eravamo convinti questa fosse l’unica strada da percorrere, speriamo che nei prossimi anni tutto il nostro settore andrà in questa direzione.