Nel mondo, ogni anno, oltre sette milioni di persone si mettono in viaggio per motivi di salute. Il fenomeno riguarda molti pazienti italiani che scelgono di farsi curare all’estero, ma i dati statistici raccontano un’inversione di tendenza; indicano cioè un incremento dei pazienti che da altri paesi europei (ma non solo) scelgono le nostre strutture sanitarie d’eccellenza per avere prestazioni a elevato livello di specializzazione come neurologia, cardiochirurgia, oncologia, chirurgia bariatrica e ortopedia in particolare.
Significa che, dietro la dibattuta facciata della malasanità nazionale, ci sono molti specialisti e strutture che spesso all’estero ci invidiano per gli standard di sicurezza e qualità delle cure.
Per contro, va detto che circa 1 paziente su 15 ogni giorno in Italia contrae un’infezione causata da microrganismi (batteri, virus, funghi) durante il ricovero in ospedale. Un’emergenza che, secondo i dati dello European Centre for Disease Prevention and Control, ha provocato circa otto mila morti nel 2018. Secondo gli epidemiologi, infatti, le infezioni che si contraggono in ospedale hanno un impatto due volte maggiore rispetto a tutte le altre malattie infettive messe insieme.
Parliamo di un fenomeno rilevante anche in termini economici: il trattamento di ogni singolo caso clinico prevede un investimento che va dai 5 ai 9 mila euro, con un costo annuale in Europa di circa 7 miliardi di euro.
L’identikit del paziente a rischio è abbastanza preciso. Le persone anziane, i neonati, chi è ricoverato da molto tempo, chi ha avuto un trapianto d’organo oppure è stato sottoposto a diversi interventi, come chi deve utilizzare per un lungo periodo terapie immunosoppressive. Sono questi i soggetti più esposti all’attacco di microrganismi che, oltretutto, sono diventati resistenti agli antibiotici.
Le modalità di trasmissione di questo tipo di infezione sono molteplici. Si può contrarre un’infezione in ospedale a causa dell’affollamento degli ambienti di ricovero, oppure per contatto diretto e indiretto da persona a persona, attraverso le mani, colpi di tosse e starnuti, l’utilizzo di oggetti contaminati (in particolare strumenti diagnostici, chirurgici o per l’assistenza) oppure per una poco efficiente organizzazione e strutturazione degli ambienti.
La sala operatoria è solo uno degli ambienti a rischio, anche tutti i locali di servizio del blocco operatorio devono rispondere a precise caratteristiche di sicurezza. Se la prima fonte di infezione è l’inserimento di cateteri nell’organismo, la seconda è proprio il blocco operatorio nel suo insieme.
“Contrastare l’aumento delle infezioni negli ospedali, è da sempre una priorità di SagiCofim che ha collaborato con AiCARR (Associazione Italiana Condizionamento dell’aria Riscaldamento e Refrigerazione) alla stesura di una linea guida per i blocchi operatori, che è diventata la norma UNI 11425”, spiega Roberto Merici, B.U. Hospital Manager di SagiCofim. “
La norma indica quali prestazioni devono garantire gli impianti meccanici, dedicati ai blocchi operatori, per poter ottenere un flusso d’aria tale da mantenere l’ambiente della sala operatoria il più pulito possibile”. Tali concetti sono stati ripresi ed estesi in una linea guida di prossima validazione che introduce i concetti della “contaminazione controllata” per tutti i reparti ospedalieri.
L’aria che si respira nei blocchi operatori è importante sia per chi ci lavora che per il paziente. “La qualità dell’aria immessa non deve solo garantire comfort ambientale agli operatori, ma deve contrastare e spostare le impurità prodotte dalla stessa equipe”, spiega Roberto Merici. “Attraverso il semplice movimento e l’abbigliamento del team medico, infatti, vengono rilasciati nell’ambiente batteri e tossine. Con il flusso dell’aria si possono allontanare dall’area critica microrganismi e altre particelle contaminanti”.
L’obiettivo che si pongono le organizzazioni sanitarie è quello di prevenire il 30% delle cosiddette infezioni nosocomiali nel più breve tempo possibile.
Ma provvedere alla qualità dell’aria non basta, come non bastano le procedure di sterilizzazione degli strumenti e delle attrezzature chirurgiche.
“Per la riduzione dei rischi, ogni tappa dell’ospedalizzazione deve essere accompagnata dal rispetto di pratiche comportamentali igieniche che dovrebbero essere scontate, ma evidentemente non sempre lo sono. Bisognerebbe creare corsi di formazione comportamentale per gli ambienti a contaminazione controllata, prendendo spunto da esperienze che hanno dimostrato la loro efficacia come ad esempio ciò che è stato fatto nel mondo farmaceutico”, dice Roberto Merici.
Tra queste: la corretta scelta dei tessuti di abbigliamento dei camici e delle telerie, il corretto lavaggio delle mani in particolare delle unghie, degli operatori e dei parenti, informare del rischio causato dall’indossare orologi, anelli, orecchini, trucco, barba e baffi, l’uso dei cellulari l’individuazione e quindi isolamento dei pazienti a rischio, ma anche il controllo dei possibili serbatoi di infezione e i meccanismi di trasmissione, il controllo della pulizia e sanificazione dei locali.
“Ricerca e innovazione sono sempre stati il motore di SagiCofim, ma noi sosteniamo anche l’impegno verso la cultura della prevenzione”, conclude Merici. “La formazione del personale sanitario in materia deve essere costante, come la verifica che le misure di sicurezza, descritte nelle linee guida, vengano messe in pratica”.