Cleanroom: la ripartenza post Covid-19

Aspec, associazione francese per la prevenzione e lo studio della contaminazione, è leader nella standardizzazione delle tecnologie dedicate alle cleanroom o le cosiddette “camere bianche” o che, in questa fase post Covid-19, sono oggetto di grande attenzione da parte dei virologi di tutto il mondo.

Ambienti come i reparti di rianimazione, dopo aver accolto per mesi quasi esclusivamente i malati di Coronavirus, devono tornare a ospitare in piena sicurezza tutti i pazienti che hanno bisogno di questo tipo di assistenza.

Anche SagiCofim, che con la sua filiale d’Oltralpe, fa parte di Aspec, ha partecipato al video simposio organizzato dall’associazione e intitolato proprio “Linee Guida per la ripresa dell’attività nelle camere bianche”.

È stato il nostro Emmanuel Guibal, amministratore della filiale francese di SagiCofim, a esaminare i vari elementi che entrano in gioco e garantiscono la filtrazione – pressoché totale – di particolato pericoloso, compresi i virus, anche in ambienti altamente a rischio.

Un argomento di grande attualità cui SagiCofim è particolarmente attenta e che fornisce un ulteriore approfondimento circa l’attività nella nostra azienda nelle fasi post lockdown e di cui abbiamo già trattato nei precedenti numeri di Onair.

Oggi, parliamo con Emmanuel Guibal del trattamento dell’aria: il ruolo della filtrazione, l’efficienza dei filtri e, infine, della loro sostituzione.

“Dobbiamo partire dal presupposto che, uno degli obiettivi della filtrazione è migliorare il comfort. La filtrazione, negli uffici, negli aeroporti come in hotel migliora la permanenza all’interno di un certo luogo.

Ma l’obiettivo più importante della filtrazione, e di fondamentale interesse, è la salute umana: la filtrazione infatti migliora la qualità dell’aria con un impatto positivo sulla salute delle persone”.

Per comprendere appieno il ruolo della filtrazione è importante sapere che il particolato che respiriamo ha un impatto diverso sul nostro organismo in base alla sua dimensioni.

“Noi sappiamo che le particelle tossiche penetrano più o meno profondamente all’interno dell’apparato respiratorio”, spiega Guibal. “Le particelle di dimensioni superiori a 6 µm rimangono a livello della cavità nasale e orale; se le dimensioni diminuiscono, raggiungono la laringe, la trachea, l’albero bronchiale fino ad arrivare al polmone, nel caso delle particelle di dimensioni inferiori a 1 µm”.

Se facciamo l’esempio dell’inquinamento atmosferico, sappiamo che nelle aree urbane troviamo picchi di particolato sottile composto da particelle di 0,3 – 0,4 µm e un particolato più grossolano composto da particelle da 7 a 10 µm. Nelle aree rurali il particolato sottile è molto meno presente che in città, mentre rimane alto il particolato composto da particelle più grandi”.

Che cosa ci può dire a proposito delle particelle del Coronavirus?
“Sul Covid-19 la comunità scientifica è concorde nell’affermare che la dimensione di questo virus è compresa tra 60 e 120 nanometri, che corrispondono a 0,06 a 0,12 µm”. Si tratta dunque di dimensione estremamente piccole”.

Come possiamo pulire l’aria all’interno di una camera bianca?
“La risposta è semplice: attraverso un efficace trattamento dell’aria! In pratica l’aria che viene immessa deve essere filtrata, quindi pulita, diffusa uniformemente in tutto l’ambiente e, successivamente, deve essere canalizzata all’esterno attraverso le espulsioni. L’obiettivo del sistema è rimuovere al meglio le particelle presenti nell’aria”.

Come si deve procedere per ottenere questo risultato?
“Esistono sostanzialmente due metodi per pulire l’aria di una camera bianca. Il primo è immettere un flusso d’aria turbolento che mira a mescolarsi con quella interna. In questo modo l’aria pulita si miscelerà a quella presente nella stanza diluendo le particelle in sospensione, che verranno filtrate ed eliminate, con l’obiettivo di ottenere aria più pulita all’interno della camera.

Il secondo sistema sfrutta un concetto leggermente diverso: si tratta di un flusso unidirezionale che, invece di mescolarsi con l’aria dell’ambiente, la spinge sfruttando quello che chiamiamo “effetto pistone”. L’obiettivo, naturalmente, è sempre immettere dell’aria pulita opportunamente filtrata e canalizzarla all’esterno.

Esiste anche un sistema a flusso laminare con velocità differenziali per sale operatorie che permette di migliorare l’efficienza della ventilazione. L’aria viene immessa a velocità diverse: la velocità centrale dell’aria è superiore rispetto a quella periferica. Questa differenza di velocità crea una barriera fisica che diminuisce l’induzione dell’aria che non è sotto il flusso e che potrebbe rientrare in quella pulita (sotto flusso)”.

Come vengono classificati i filtri per impianti di ventilazione?
La norma ISO 16890 classifica i filtri in base alla loro efficienza in relazione alle dimensioni delle particelle (da 0,3 µm a 10 µm). L’efficienza del filtro infatti è legata alle dimensioni del particolato da filtrare: più è piccola la particella meno il filtro è efficiente.

Per esempio, se con una particella da 1 µm l’efficienza di un filtro per ventilazione generale è del 75%, significa che il filtro lascia passare il 25% delle particelle di queste dimensioni. Più aumenta la dimensione delle particelle, più il filtro è efficiente.

In base alla norma ISO 16890 avremo 3 tipi di filtri:

ePM1 che riguarda le particelle con dimensioni fino a 1 µm; ePM2,5 che riguarda le particelle fino a 2,5 µm ed ePM10 che riguarda quelle fino a 10 µm”.

All’interno dell’impianto, che ruolo hanno i filtri ad alta efficienza?
“Generalmente vengono installati a valle, vale a dire dopo i filtri per la ventilazione generale, che come abbiamo detto, rappresentano una sorta di prefiltri. Se non ci fossero i prefiltri a protezione, installati a monte dei filtri HEPA, questi ultimi si sporcherebbero molto rapidamente. Il loro ruolo è catturare particolato estremamente sottile”.

Quali tipologie di filtri HEPA si utilizzano negli impianti a contaminazione controllata’?
“Ne esistono due categorie: quelli ad elevata portata che vengono installati direttamente nelle unità di trattamento aria o nei contenitori di sicurezza; e i filtri terminali che rappresentano la “barriera finale” verso l’ambiente a contaminazione controllata.

I filtri ad alta efficienza (EPA, HEPA ULPA) sono classificati in base alla norma EN 1822-1:2019 che raggruppa alcune categorie di filtri che hanno un’efficienza globale e un’efficienza puntuale sul medium filtrante. Prendiamo a titolo di esempio un filtro H14 avrà un’efficienza globale pari a 99,995% MPPS e un’efficienza puntuale di 99,997% MPPS. Quindi avremo una penetrazione di particelle, non intercettate dal filtro, che sarà inferiore a 0,005% a livello globale e di 0,025% a livello puntuale.

Allo stesso modo, se prendiamo in considerazione un filtro U15, che è la categoria superiore, avremo un filtro capace di filtrare 10 volte di più del H14, la penetrazione globale delle particelle infatti scende a 0,0005% e quella puntuale a 0,0025%”

Questi dati ci fanno pensare a una ripresa ben controllata dell’attività nelle camere bianche?
“La filtrazione delle camere bianche dopo la pandemia da Covid-19 deve tener conto di due fattori: le dimensioni del virus e l’efficienza dei filtri. Il grande vantaggio di questa tipologia di impianto è di essere progettato per ottenere il massimo controllo dell’ambiente, ciò significa che le portate sono importanti, il livello di filtrazione, in particolare il livello di filtrazione finale, deve essere elevato con l’impiego di filtri ad altissima efficienza HEPA.

Se si prende un filtro H14 frequentemente utilizzato nelle camere bianche, la sua efficienza globale è di 99,995%. Ciò significa che dopo il filtro, troveremo solamente lo 0,005% del particolato. Se la portata dell’impianto e di 60 vol/h, tutta l’aria della sala viene filtrata 60 volte in un’ora quindi ogni minuto. Questi elementi mostrano che la concentrazione del virus cala verticalmente.

D’altra parte siamo in un ambiente estremamente adatto per trattare la contaminazione: è proprio questo l’obiettivo delle camere bianche”.

Si può fare altro per ridurre ulteriormente il rischio di contagio?
“Sappiamo che il rischio zero non esiste, ma possiamo ridurne ancora la percentuale mettendo in campo altre due misure per contrastarlo.

La prima riguarda il tasso di aria primaria, in un’installazione tipica, che viene presa dall’esterno (naturalmente bisogna verificare di non utilizzare aria contaminata) e l’aria di ricircolo (questo per ragioni di risparmio energetico), dove l’aria viene ricircolata dopo essere stata filtrata. Appare evidente che, aumentando il tasso d’aria primaria, diminuiscono ancora le cariche virali che possiamo avere all’interno.

Un’ultima possibilità che viene utilizzata in casi estremi, soprattutto nei laboratori in cui si manipolano virus estremamente pericolosi, l’ebola per esempio, e dove non vogliamo correre alcun rischio, possiamo mettere in serie due filtri H14 che, come abbiamo visto, filtrano 2 volte di seguito 99,995% delle particelle in sospensione”.

Come dobbiamo comportarci per la manutenzione dei filtri?
“Iniziamo col dire che non esiste alcuna ragione di modificare il protocollo di cambio filtri che è già in atto nelle camere bianche. Se i filtri rispettano le perdite di carico raccomandate dal costruttore, sono originali e non sono stati danneggiati durante le operazioni di pulizia, non ci sono ragioni per cambiarli più spesso del normale. Le precauzioni da prendere, riguardano piuttosto la sicurezza, partendo dal presupposto che trattiamo prodotti pericolosi.

Ed ecco come si procede. La prima cosa da fare è fermare l’impianto, isolare il filtro dal circuito con l’aiuto della serranda a tenuta e, facoltativamente, aprire la valvola rompivuoto per poter lavorare, quindi aprire il coperchio per raggiungere il filtro. Gli elementi necessari per questa attività sono i dispositivi di protezione individuali (DPI) per le persone che devono intervenire sul filtro equipaggiate con maschere, tute, guanti e una pinza termosaldante per sigillare il filtro contaminato.

In questi sistemi di sicurezza (sistema canister) il sacco barriera è già incluso all’interno. Quando si apre il coperchio del canister si rimuove il filtro esausto dentro il suo sacco barriera che viene termosaldato e a questo punto il filtro è pronto per essere smaltito secondo la corretta filiera.

Per il caso specifico di Covid-19, se la situazione lo permette, l’ideale è aspettare una decina di giorni: questa infatti è la durata massima di vita sopra una superficie del virus. Questo non è sempre possibile, quindi, se si possono aspettare questi 10 giorni bisogna rispettare seriamente le raccomandazioni di cui abbiamo parlato per proteggere le persone che si occupano della manutenzione; l’isolamento del filtro contaminato nel suo sacco barriera e quindi la sua eliminazione”.

Questa la prassi normale, ma cosa cambia dopo Covid-19?
“Questo protocollo non è diverso per le camere bianche che hanno accolto pazienti Covid e che devono essere ripristinate per l’uso di routine: è necessario assicurarsi che i filtri siano integri, che l’impianto abbia una buona portata e funzioni normalmente, ma non è necessario rivedere il protocollo di manutenzione dei filtri, né del livello di filtrazione. Se l’impianto lo permette, è sempre possibile alzare il livello di filtrazione per diminuire il rischio, per esempio passando da un filtro H13 a un H14 o ancora a un U15, naturalmente verificando che le perdite di carico dei filtri possano essere “assorbite” dal ventilatore dell’unità di trattamento aria.

È importante verificare, in merito al ricircolo dell’aria, che le camere in cui hanno soggiornato dei pazienti malati di Covid-19 non siano connesse con altre camere che potrebbero ricevere quest’aria ricircolata e non filtrata. In generale però, nelle camere bianche la progettazione corretta prevede di avere una unità di trattamento di aria primaria che possa essere distribuita in diverse camere. Al contrario l’unità con ricircolo sarà dedicata a una camera contaminata.

Le protezioni del personale che si occupa della manutenzione dei filtri sono le stesse di chi entra in contatto con i pazienti: maschere, guanti e naturalmente l’igiene delle mani”.

Per rivedere l’interessante intervento di M. Guibal al simposio clicca qui  e buona visione!

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