Coronavirus: l’importanza dell’umidità

Da anni medici, microbiologi e ricercatori ci avvertono che per ridurre il rischio di trasmissione di influenze virali è necessario che il livello di umidità relativa negli edifici sia mantenuto tra il 40 e il 60%. Eppure questa regola aurea è rimasta purtroppo, quasi sempre, disattesa.

Il riferimento in materia è da sempre costituito dalla Sterling Chart, il diagramma pubblicato sugli ASHRAE Transactions nell’ormai lontano 1985 che illustra in modo chiaro la correlazione tra i valori dell’umidità e l’effetto dei fattori dai quali dipende la salute delle persone, quali virus, batteri e altri agenti patogeni.

Una ricerca del 2010 ha poi dimostrato come la sopravvivenza dei virus sulle superfici si riduce quando l’umidità relativa viene mantenuta intorno al 50%, mentre i virus restano attivi quando i valori sono inferiori al 40% e superiori al 60%.

I risultati di questa ricerca sono stati rilanciati recentemente da Stephanie Taylor, ricercatrice e divulgatrice americana specializzata in infezioni nosocomiali, che già in occasione dell’ASHRAE Winter Meeting del 2019 aveva presentato un paper dal titolo “The building you will see now” nel quale venivano riassunti i dati raccolti nelle ricerche da lei condotte insieme alla Harvard Medical School relative all’effetto dell’umidità sulla salute e le funzioni cognitive in diverse tipologie di edifici, quali ospedali, RSA e scuole. Lo studio effettuato in una scuola mostra ad esempio che l’aumento dell’umidità relativa al 40% ha consentito di ridurre fino all’80% l’attivazione dei virus.

La cosa curiosa è che il paper contiene una nuova versione della Sterling Chart con un’indicazione aggiornata e dettagliata di batteri e virus infettivi tra i quali sono compresi anche i coronavirus.

La Taylor mette inoltre in evidenza il fatto che le epidemie di influenza potrebbero diventare sempre più pericolose negli edifici di nuova costruzione ad elevata tenuta all’aria, se non adeguatamente ventilati. I batteri generati all’interno degli ambienti presentano infatti una minore varietà e maggiori elevati effetti patogeni rispetto a quelli contenuti nell’aria esterna.

Un’altra ricerca dell’Università di Yale ha dimostrato come condizioni di bassa umidità consentano alle particelle infette di diffondersi meglio e sopravvivere più a lungo, impediscano a naso e polmoni di liberarsi dai virus e, infine, bloccano gli interferoni del nostro sistema immunitario, ovvero le proteine che ci aiutano a combattere le infezioni.

Tutto ciò conferma che uno degli strumenti per combattere la trasmissione di influenze come i coronavirus consiste nel rendere più salubri gli edifici in cui viviamo e lavoriamo grazie a una corretta progettazione degli impianti di climatizzazione, umidificazione e ventilazione.

Sagicofim da sempre dedica grande attenzione all’umidificazione ambientale, come dimostra la pubblicazione sulla newsletter di alcuni articoli dedicati a questa tema:

FONTE: Diagramma elaborato da Stephanie Taylor e presentato in occasione dell’ASHRAE Winter Meeting del 2019

 

 

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