Covid e impianti HVAC: ripartiamo dalla IAQ!

Si è parlato molto in questi giorni del ruolo che gli impianti di climatizzazione e ventilazione possono avere nel combattere o, viceversa, nel diffondere il virus della Covid-19.

Purtroppo finora le informazioni fornite dai media sono state spesso confuse e non corrette, arrivando persino a proporre soluzioni estreme come lo spegnimento degli impianti.

Una cosa è però certa. Questa emergenza pone tutti gli addetti del settore delle costruzioni di fronte a una precisa responsabilità, quella di realizzare impianti HVAC che siano in grado di garantire davvero un’elevata qualità dell’aria indoor e quindi un effetto positivo sulla salute.

E quando diciamo “addetti del settore” intendiamo non solo i progettisti di impianti ma tutta la filiera, quindi legislatori, committenti, architetti, imprese di costruzione.

Come ben sappiamo, negli ultimi anni in tutti i progetti di edifici nuovi e da ristrutturare la IAQ è stata sempre sacrificata a favore di altri aspetti erroneamente ritenuti più importanti, quali la riduzione ai minimi termini sia dello spazio disponibile per gli impianti sia del loro costo.

È ora giunto il momento di assegnare ai sistemi HVAC il compito che a loro compete, che non è soltanto quello di controllare la temperatura, ma anche e soprattutto di rendere più salubri i luoghi dove trascorriamo la nostra vita.

La soluzione non è evidentemente quella di sviluppare impianti “in miniatura”, come proposto da un famoso architetto in una lettera aperta al Presidente Mattarella, o di utilizzare sistemi di depurazione dell’aria più o meno affidabili.

Al contrario, è necessario progettare gli edifici per uffici “intorno” agli impianti che devono avere un ruolo centrale nel garantire la salute delle persone. Per fare ciò devono essere ben chiari alcuni concetti che sono alla base di una corretta progettazione.

In primo luogo un impianto di ventilazione e climatizzazione deve immettere negli ambienti aria esterna non solo adeguatamente filtrata ma anche con una portata molto più elevata di quella attualmente adottata. Per diluire tutti i contaminanti indoor, è infatti ormai appurato che non bastano i classici 40 m3/h a persona, che dovrebbero essere almeno il doppio.

Ma ciò non basta: fondamentale è anche garantire un corretto “lavaggio” dell’aria ambiente mediante un posizionamento dei punti di immissione e di estrazione che consenta di asportare in modo efficace particelle e virus, invece di lasciarli sospesi nell’aria.

Tutto ciò non è novità per chi si occupa di progettazione di edifici ospedalieri, dove la salute delle persone è la priorità: basti pensare ai sistemi di diffusione adottati per ambienti come sale operatorie, terapie intensive o reparti per infettivi o immunodepressi, nei quali si cerca di realizzare flussi laminari.

Ma è un concetto che all’estero viene applicato da anni anche negli uffici, per i quali è possibile adottare impianti a tutt’aria basati sulla diffusione a dislocamento, con mandata dal basso e ripresa dall’alto, eventualmente abbinati a sistemi radianti posti a soffitto.

Che cosa ha limitato l’adozione di queste soluzioni nel nostro paese? Il più elevato costo di investimento e il maggiore spazio richiesto per apparecchiature e canali di distribuzione, che si traduce anch’esso in una penalizzazione economica per l’investitore.

È possibile cambiare questa mentalità che finora ha anteposto i ricavi alla salute delle persone? Con l’emergenza Covid-19 forse è arrivata l’occasione giusta.

Noi di SagiCofim, che da sempre proponiamo soluzioni che consentono di realizzare questo tipo di impianti, siamo il partner giusto per coloro che sentono la responsabilità di questo cambiamento. E vogliamo cogliere questa opportunità per lanciare una proposta: perché non istituire un sistema di certificazione garantita della Indoor Air Quality?

 

 

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